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Dal cortile alla play station passando per il subbuteo

Capitolo 3
Figli di un calcio minore - 28/07/2009

Guardo mio nipote seduto sul divano. Sta guardando la partita con quell’espressione ebete che hanno i 14enni di oggi. Bianco come un cencio e leggermente sovrappeso segue le azioni con sguardo assente e per niente interessato. La cosa bizzarra sono le mani. Non tanto il colore, anche quello sul pallido andante, ma più che altro il movimento. Segue la partita con gli occhi, ma inconsciamente, e a una velocità supersonica, muove le dita come se stesse giocando alla Play Station. Arriva la palla a Kakà e comincia a smanettare con il pollice, stoppa la palla Seedorf e comincia tutta una serie di combinazioni strane, L1, L2 triangolo, cerchio. Muove la testa leggermente di lato seguendo l’azione. Ci è o ci fa? Questa è la domanda. Ho paura che ci sia, punto.

Per questi smidollati d’oggi il calcio non è quello lì, allo stadio, ma è quello là, in camera, nella Play Station. Non so se poi ci creda davvero, al fatto di comandare il gioco intendo. Però è lì. La partita va avanti e lui smanetta. Non erano i grandi pianisti che componevano su una tastiera finta? Là però era arte, qui cos’è? Qualcuno dice che è perché sono arrivati i barbari altri dicono che è tutta colpa dei video games. Io non so, non mi schiero, però vista da qui la cosa è preoccupante. Perché alla fine alla Play ogni tanto ci gioco anch’io e anche senza voler capire cosa c’è nella testa di uno che è nato negli anni ‘90, so cosa pensa mentre guarda Kakà che punta i difensori e sbaglia il passaggio per Inzaghi. Pensa: dovevo schiacciare il triangolo. Questa storia ben radicata, è una realtà. Ma più che altro, che conseguenze ha? Dove si ripercuote e su chi?

Niente di grave, ci mancherebbe, ma qualcosa là fuori, guardando meglio, si vede. Io lo vedo soprattutto nel calcio giocato. Quello dilettantistico intendo. Su quei campi spelacchiati e dalle righe storte dove però ogni domenica scendono in campo migliaia di squadre.



Prendete una qualsiasi di queste squadre. Una a caso, diciamo dalla promozione alla terza categoria. Concentratevi sul più vecchio. Non ho dubbi, sarà quello vestito peggio, quello col giacchino di jeans che non va da dieci anni. Quello che fuma prima di giocare, quello che suda di più. Suda di più non perché è il più vecchio ma perché è quello che gioca per divertirsi, quello che alla fine è più stanco degli altri, non perché è il più vecchio, ma perché vuole vincere. Sempre.

Adesso prendete i due o tre ragazzini che ci sono. 17, 18 anni, quell’età lì. Troverete di sicuro: una pettinatura di dubbio gusto, uno a scelta tra piercing al sopracciglio e tatuaggio sull’avambraccio, ma soprattutto, tanto talento sprecato, poca voglia di lavorare e una pericolosa e strana tendenza a portare jeans che lasciano scoperte le chiappe.

Prendete il talento dei secondi, mettetelo nella testa dei primi e sapete chi verrà fuori? Un calciatore. Vero intendo. Serie A, veline, quella roba lì.

Guardateli mentre si allenano, guardateli mentre sbuffano in mezzo al campo, guardate i loro occhi. Nel più vecchio ci troverete il divertimento, la cattiveria, la grinta, la voglia di superare l’avversario nata sull’asfalto, sotto casa e all’oratorio. La voglia buona, grintosa e cazzuta di uno che ha giocato senza parastinchi per anni, che si è ammaccato le caviglie e le ginocchia una domenica sì e l’altra domenica pure.

Nel più giovane ci troverete un’apatia un po’ bizzarra, dei capelli ingellatissimi e un paio di scarpe forse bianche, purtroppo a volte anche gialle, ma sicuramente non nere.

Il vecchio, dai 12 ai 18 anni, ha passato i pomeriggi a fare le seguenti cose: ha giocato a calcio sull’asfalto o sullo sterrato dell’oratorio, ha truccato motorini, costruito con le sue mani carretti e canne da pesca, ha giocato a Subbuteo e con l’Atari. Ha quindi sviluppato naturalmente l’ardore necessario per andare in scivolata sull’asfalto, per colpire di testa palloni ghiacciati e per non ammalarsi mai. Anche gli hobby pseudocalcistici, dal Subbuteo all’Atari non potevano sostituire quello vero. Il Subbuteo ha chiuso in casa una generazione di ragazzi ma comunque aveva una sua fisicità, una palla vera e delle dinamiche diverse dal calcio giocato e che quindi il calcio non lo sostituivano (per capirci: Kakà se in tre tocchi salta tutta la difesa, una volta davanti al portiere non è costretto ad aspettare che Inzaghi la butti dentro incollato a una bizzarra base rossonera). Sulla plausibilità del gioco calcio sull’Atari non è neanche il caso di soffermarsi. Ma possiamo parlare anche di Sensibile Soccer, o Kick Off. Lì i “vecchi” ci hanno giocato parecchio, quasi come alla Play ma come poteva sostituire il calcio vero? C’erano tre opzioni in croce: passaggio basso, passaggio alto, tiro, colpo di testa, scivolata. Il calcio è una roba complicata, in cinque mosse mica lo racconti.

Quindi questi ragazzi scendevano in strada o all’oratorio e giocavano lì. Botte da orbi, qualche finezza ma più che altro tanti contrasti e tiri sbilenchi. Fermiamoci un attimo, facciamo un inciso. Che cosa si è estinto negli ultimi 10 anni? Qual è quell’indumento che, davvero, non esiste più? E’ la tuta con le toppe. Perché è estinta? Non perché adesso quando la tuta è rotta se ne compra un’altra ma perché ai ragazzi, oggi, la tuta non serve più. Non la usano, non la bucano, hanno ginocchia lisce come le pubblicità del Dove, comprano jeans orrendi e si stravaccano sul divano, joystick in mano. La tuta con le toppe è andata, out. Se esistessero aziende che facevano toppe non lo so, di certo al momento non fanno grandi fatturati.

Play Station batte tuta con le toppe tre a zero.

Ed è un vero peccato, credo.

Poi in realtà qualche attenuante ce l’hanno pure ‘sti ragazzi. I giochi sono arrivati a una profondità e a un grado di veridicità tali che francamente è difficile staccarsene. Però, dove si arriverà? Perché se si va avanti di questo passo, se metti Kick Off di fianco a PES 6 e pensi che sono passati neanche 15 anni sei legittimato a chiederti: e tra altri 15 anni?

Mi immagino che tra 15 anni uno si metterà un casco, o una roba del genere e potrà scegliere se essere Van Nistelrooy o Lippi o non so chi. E perché dovrebbero toglierselo a un certo punto? Perché uno che è 150 chili dovrebbe preferire di fare il ciccione che essere l’allenatore del Real Madrid?

Il perché io lo so. Forse perché ho avuto la fortuna di avere un briciolo di talento, ma lo so. Perché con la Play Station puoi vincere i mondiali che vuoi mettendo in pausa e pocciando la ciambella nella cioccolata calda ma non potrai mai provare certe emozioni.

Non parlo di arrivare a giocare, davvero, in serie A, parlo di becere partita di prima o di seconda categoria. Prendete un gol rocambolesco in una domenica di inverno senza spettatori. Un cross dalla fascia a pochi minuti dalla fine quando il risultato è in parità. Guardate quel cross, l’uscita bassa del portiere sulla prima punta che ostacolato dal difensore riesce solo a colpire appena di punta. Guardate la palla che rimbalza sugli stinchi del portiere e rimane lì, lenta, lì in mezzo all’area. Poi guardate la mia faccia e quella dello stopper che sto anticipando. Il resto ditemelo voi. Ditemelo voi perché io non me lo ricordo.

So che ero lì e dopo un po’ ero da qualche parte del campo che urlavo. Ho sentito tutti i miei compagni addosso e una scarica di adrenalina che dai reni mi è salita fino alla testa. Probabilmente ho urlato. Probabilmente sembravo un pazzo. Un invasato.

Ma datemi la Play Station 10 e fatemi 50 cioccolate in tazza poi fatemi scegliere tra queste e un mezzo cross sbagliato in una domenica di nebbia.

Non vi dico nemmeno cosa sceglierei vi prego solo, quando mi racconterete com’è andata di non andarci troppo pesanti sul fatto che sembravo un invasato.


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TATANCA
commento del 10/12/2008 alle 15:29

Sei un GRANDE!!!!...Ti aspetta anche Varini!...e io aspetto notizie sulla pubblicazione di questi racconti.
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meno
commento del 10/12/2008 alle 11:38

veramente io criccavo.. era il guzzo che accompagnava col pollicione!
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Fabio
commento del 08/12/2008 alle 10:02

Tama continua cosi. Ma c'eri anche tu a Pieve negli anni 80? sono esattamente le cose che facevamo noi... ricordi Ciccio? A subbuteo non potevi accompagnare il giocatore... dovevi criccare!!!
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SCIALPI
commento del 07/12/2008 alle 19:43

Gran articolo, però mi sembra di rivedere i giovani della tricolore dell'anno scorso,che brutto momento
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CICO DS
commento del 05/12/2008 alle 17:31

Diciamo che il Prologo è la parte secondo me scritta meglio. Quella del portiere quella che mi è piaciuta meno questa ralistica e interessante la storia raccontata così mi ricorda molto il narratore nel film TRANSPOTTING tipo : "Prendete" "Guardate" ecc ecc però al di la della stesura la cosa bella di questo libro è un pò secondo me come quando guradi Radio Freccia che dici cazzo ma è proprio così e ti riconosci in uno dei vari personaggi. Quindi bravo
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DS Boni
commento del 05/12/2008 alle 17:01

AMEN FRATELLO .... sisisisi
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PRES/DS MOLA
commento del 05/12/2008 alle 16:54

secondo me troverai presto un editore,e un gran bel libro ed è molto reale......p.s. io sono a meta delle due storie,ma i sentimenti che ci sono in campo la domenica quando giochi una qualsiasi partita la play se li sogna!"pensa se venivi allo sporting ti facevo da editore!!"
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